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Rimini, ebola: infettivologo guarito racconta la sua esperienza alla Gran Loggia

12 apr 2015
Rimini, ebola: infettivologo guarito racconta la sua esperienza alla Gran Loggia
Rimini, ebola: infettivologo guarito racconta la sua esperienza alla Gran Loggia
La scienza senza umanità non va da nessuna parte. È questo il messaggio che i due medici italiani entrambi di Catania, in prima linea come volontari per far fronte all'emergenza umanitaria nelle zone più disagiate del mondo, hanno lanciato dalla tre giorni di Rimini della Gran Loggia del Grande Oriente d'Italia, dove hanno partecipato alla tavola rotonda "Italia, per chi non si arrende". Sono Manlio Leonardi, che presta assistenza agli immigrati che arrivano sui barconi nel Canale di Sicilia e Fabrizio Pulvirenti, l'infettivologo noto per essere il paziente numero zero, il primo italiano contagiato e guarito dal virus dell'Ebola. Due storie di "eroi del nostro tempo" come li ha definiti il Gran Maestro Stefano Bisi, "due esempi viventi di coraggio" e di "grande umanità". "Fare il medico è una missione, fare il volontario è una vocazione", ha detto Pulvirenti. "Sono stato sottoposto a quattro dei cinque trattamenti sperimentali - ha osservato - ma dalla mia esperienza personale e da quella che ho potuto osservare in Africa, deduco che ci si riesce a salvare soltanto se si rimane in vita oltre il decimo giorno. E se sono salvo, lo devo ai colleghi dello Spallanzani che mi hanno sottoposto a terapia intensiva". Paura? "No, essermi ammalato come medico mi ha dato una marcia in più. Ho dato la mia disponibilità a tornare in Africa. Ma spero non sia necessario, che l'emergenza rientri del tutto". È stato tra i poveri dei poveri di Haiti, colpiti dal terremoto del 2010, e oggi presta il primo soccorso nel Canale di Sicilia agli immigrati che arrivano sui barconi. Manlio Leonardi, medico ortopedico, volontario del Corpo italiano di soccorso dell'Ordine di Malta ha lanciato la sua proposta: ha fatto appello ai colleghi che operano sul territorio ad aprire i loro studi e a dedicare parte del loro tempo a chi, come questi uomini, queste donne e questi bambini, arrivano da lontano, fuggendo da guerre, povertà e miseria.

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