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Consiglio: in seconda lettura il progetto di legge che vieta le punizioni corporali sui bambini

31 ago 2014
Consiglio: in seconda lettura il progetto di legge che vieta le punizioni corporali sui bambiniConsiglio: in seconda lettura il progetto di legge che vieta le punizioni corporali sui bambini
Consiglio: in seconda lettura il progetto di legge che vieta le punizioni corporali sui bambini - Il provvedimento prevede anche un innalzamento dell'età dei minori per l'imputabilità e il diritto d...
Vietate le punizioni corporali in famiglia o verso i minori. Questo il principio-cardine a cui si ispira il progetto di legge in materia di maltrattamenti in ambito famigliare, e ancor più rigidamente nei confronti dei bambini. Un percorso che la Repubblica ha inteso intraprendere accogliendo appieno le disposizioni che provengono dal Comitato ONU per i diritti del fanciullo e che rigetta ogni forma di violenza, per quanto lieve, contro i minori, escludendo pertanto finalità educative o disciplinari di sorta. Tali atti di violenza, se commessi, in base all'art.1, a modifica dell'art. 235 del codice penale, sono quindi puniti con la prigionia di secondo grado, che sale al terzo se ai danni di un bambino. Inoltre, può essere comminata una multa da 250 a 500 euro qualora il fatto non sia di particolare gravità. Sotto accusa, dunque, anche il classico “scappellotto” o “scapaccione” che tutti o quasi almeno una volta nella vita hanno ricevuto da piccoli dai propri genitori, quando i capricci diventavano insostenibili oltre che immotivati. L'obiettivo – si legge nella relazione al progetto di legge – è però quello di promuovere “il concetto di genitorialità positiva basata sul riconoscimento dei diritti fondamentali di tutti i membri della famiglia e caratterizzata, appunto, dall'abbandono delle punizioni corporali. Per questo si propone anche l'abolizione dell'art. 234 del codice penale.
Altro aspetto, affrontato all'art.10: l'innalzamento dell'età dei minori per l'imputabilità, che passerebbe dagli attuali 12 anni ai 14 anni. Perché - si legge sempre nella relazione – “i ragazzi di oggi non sono più maturi, ma hanno solo meno limiti e quindi prevedere l'età imputabile al di sotto dei 14 anni significa far pagare ai ragazzi quelle che sono responsabilità di altri”. Ultimo punto, il riconoscimento del diritto dell'adottato a conoscere le proprie origini, purché abbia raggiunto la maggiore età, quale presupposto indefettibile per la costruzione dell'identità personale.

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